7 luglio
Una traversata è sempre divisa in tre parti: la partenza,
l’arrivo e tutto quello che succede nel mezzo. E’ una piccola metafora della
vita, perché da una traversata, anche di pochi giorni, si torna cambiati. Il
cambiamento, che ognuno vive a modo suo, è il risultato di un complesso insieme
di cause: lo stacco netto con la vita normale, la coercizione (volontaria, si
intende) che impedisce vie di fuga, e dunque la necessità di condividere tutto,
non solo i pochi metri quadri, ma anche cibo, compiti, turni di guardia, e il
tempo che a sua volta è fatto di parole e silenzi oltre che di ore di veglia e
di sonno. Alla fine ognuno conserva per se gli effetti che tutto questo ha
avuto su se stesso, e in genere si tratta sempre di esperieze positive anche, e
questo non è il caso, nella circostanza che non tutto fili proprio liscio.
Esistono comunque dei punti fermi per ogni fase e uno di
quelli della partenza è un misto di timore ed euforia. Questo è quello che si è
avvertito anche questa volta, evidententemente con le diverse gradazioni tra
chi, come il capitano, è avvezzo ormai alla vita di bordo e al peso della
resposabilità della barca e dell’intera ciurma,
e chi come almeno un paio di marinai era alla prima esperienza oceanica.
Così, al momento della partenza da Saò Miguel,
l’eccitazione era palpabile anche se discreta come si addice a gente di mare:
brevi scambi in gergo da velista, alternati a domande e aneddoti sempre in
stile prevalentemente marinaresco, intervallavano le puntuali domande al
comandante che altrettanto puntualmente divideva preziosamente il suo sapere e
i segreti di Argentina. Il vento soffiava autorevole sotto un cielo plumbeo e
issate le vele cominciava l’avventura.
Non tutti si conoscevano, e non tutti tra quelli che si
conoscevano avevano vissuto insieme per giorni su una barca dovendo in qualche
modo fidarsi uno dell’altro. C’era poi
il quinto elemento, lo svizzero, che molti di noi non sapevano neanche fosse a
bordo (ma di lui diremo in seguito). Fatto sta che le piacevoli chiacchere
iniziali, dettate dunque anche dalle necessià di avere un’idea di chi fossero
gli altri, si sono piano piano affievolite lasciando che le parole uscissero
sempre più rarefatte, come le gocce di un acquazzone che sta ormai passando.
Prima di sera, e non senza che ciascuno abbia cercato
dentro di se la forza di non lasciar trasparire nulla all’esterno, sempre in
virtù dello stesso spririto di sobria
discrezione, rispetto e ogoglio che contraddistingue la ‘vera’ gente di
mare, l’umore generale era decisamente
più mesto e l’iniziale euforia aveva lasciato spazio ad una sorta di
individuale e silenziosa meditazione. Poi è iniziata la serie di ‘rimesse
laterali’ , che in barca, a differenza che nel calcio, si effettuano
dall’interno verso l’esterno e preferibilmente sottovento.
La ciurma, perché naturalmente il comandante da tutto ciò
è immune, nessuno escluso ( a parte lo svizzero, perché in Svizzera il mare non
c’è e dunque neanche il ‘mal di…’) ha imprecato, in cuor suo e al vento che
agitava il mare, contro gli dei della nausea, ma senza grandi risultati.
Marinai avvezzi a piccole o medie odissee erano lividi ed
emaciati come un gruppetto di scolaretti spaesati e sbattuti. La condivisione
però ha almeno attenuato un poco l’iniziale
senso di imbarazzo.
Col passare delle ore, anzi diciamo dei primi due giorni,
la tensione si è sciolta e grazie anche a dosi di riso in bianco, fettine di
zenzero e qualche preghiera anche i crampi alle budella sono passati. A volte
in natura tutto avviene con singolare armonia e tempismo cosicchè mercoledi il
cielo si è aperto, e le nuvole sono sparite assieme ai grovigli di nausea dando
alla ciurma una prospettiva decisamente diversa da quella che inizialmente era
sembrata un vero e proprio incubo. E’ incredibile come la speranza in un futuro
meno cupo apra la strada ad una fiducia quasi sorprendente. L’attività a bordo
è ricominciata coma una nuova e armoniosa sinfonia, sono comparsi anche i
delfini, come i pinguini di Mery Poppins, a rialzare lo spirito e l’allegria di
bordo.
Il tutto ha cementato l’unità dell’equipaggio e la
gratitudine della ciurma verso il comandante che da unico e vero uomo di mare
ha accudito i suoi marina sobbarcandosi l’onere di cucinare e sfamarli essendo
l’unico che poteva resistere per più di qualche minuto sottocoperta senza
restare preda dei diavoli del beccheggio. Un baluardo che ha dato sicurezza a
tutti al pari della solidità e maneggevolezza di Argentina tra le onde.
Il resto è quello che ognuno di noi si porterà dentro di
questa esperienza, le sensazioni durante le guardie notturne, la scoperta di
nuovi amici, l’eccitazione per il tonno
che quasi a fine traversata ha finalmente accettato di immolarsi affinchè tutto
fosse perfetto. Infine una considerazione: l’Atlantico, dopo la partenza e
prima dell’arrivo, quando per intenderci non si vede terra da nessuna parte si
guardi, assomiglia ad un lago perfettamente tondo con la barca che naviga ma in
realtà sta ferma, esattamente al centro.
Ps. Dello svizzero alla fine non si è saputo molto ma a
bodo è stata trovata la sua carta di identità.
Grazie Paolo
Matteo
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La rotta dalle Azzorre a Lisbona |
COSE BELLE FRA LE AZZORRE E IL PORTOGALLO
Il distacco, che riporta le cose nel giusto ordine.
I turni di guardia nelle notti serene, quando anche il cielo
è un abisso di profondità.
I turni di guardia nelle notti nere come la pinna del
pescecane, quando al mondo restano solo il rumore dell'acqua sullo scafo e del
tuo cuore.
Il respiro potente del mondo, che gonfia Ie vele.
Il respiro tuo, salato ed esile.
La luce della nave che sfila via di poppa.
Il cigolio del
legno della tua cabina.
Il sonno affidato agli occhi del tuo compagno.
L'orizzonte sgombro.
Il primo raggio
del Sole.
Il volo radente delle berte.
La curiosità giocosa dei delfini.
Il respiro dell'orca che caccia a pelo d'acqua, all'alba.
Il funambolico viaggio della tartaruga di mare, che nuota
maldestra ma arriva sempre dove vuole.
La fuga argentea del banco di sardine, che cerca scampo
verso il cielo.
La solitudine.
La compagnia.
Le mani degli amici, quando hai finito le tue.
Il cibo caldo quando arriva la sera.
L'approdo, che poi non è mai tale.
Paolo, che ha gli occhi buoni e le parole sagge di chi ama
la vita, ne assapora il gusto e ti invita al suo banchetto.
Federico
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