Ore 9: siamo attaccati a una boa di fronte al motu piu grande e abitato
di Palmerston.
Durante la notte abbiamo navigato con vele ridotte per diminuire la
velocita' ed arrivare con la luce: alla fine e' rimasto solo un pezzetto
di fiocco e comunque si viaggiava a 4-5 nodi. Alle 8, mentre
perlustriamo di fronte al motu per individuare le boe, ci viene incontro
una barca che attraversa la barriera in maniera del tutto
incomprensibile: il mare frange dolcemente su tutta la linea, sembra non
esserci il buco attraverso cui e' uscita la barca. Good morning: ci
saluta il giovane polinesiano. E gia' da qui si capisce che abbiamo
chiuso un capitolo del nostro viaggio: la Polinesia francese e' finita e
da cui fino a novembre parlero' (nei limiti del mio possibile)
l'inglese. Da questa longitudine in poi (verso ovest) gli inglesi, o
meglio i neozelandesi, la fanno da padroni o meglio da protettori e
questa protezione cara gli costa. Come la Francia nella sua Polinesia,
cosi' la Nuova Zelanda mantiene una assistenza sociale (sanita' ed
istruzione) piu' che soddisfacente.
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Laguna di Palmerston |
Torniamo al nostro giovanotto. Ci indica una boa fra le quattro libere,
un'altra e' occupata da una barchetta di 10 metri da una coppia di
giovani francesi che conosceremo tra poco. Andiamo verso la boa ed al
secondo tentativo riusciamo, con il suo aiuto, a fissare due cime alla
boa. Ci consiglia di far scendere l'ancora fino ad un metro sopra il
fondo. Rimaniamo un po' stupiti da questo consiglio ma poi ricordandomi
di quello che avevo letto sul diario di Refola (una barca di italiani
che ci preceduto di due anni) tiro giu' 10 metri di catena. Insomma
Refola scrive che l'anno prima del loro passaggio una barca di americani
non segui questo consiglio; il vento giro' improvvisamente e la barca
ando' a sbattere sulla barriera: loro si salvarono ma persero la barca.
Finalmente concluso l'ormeggio il ragazzo ci annuncia l'arrivo del
personale per la dogana,immigrazione,controllo sanitario ecc. Insomma
per un posto cosi' piccolo tanti controlli! Due ore dopo ecco tornare
sempre la stessa barca guidata dallo stesso e con a bordo i tre
funzionari. Salgono e la prima, una signora che come da tradizione e'
xxxl, comincia a spargere insetticida da per tutto. Speriamo che almeno
ci stermini le farfalline della pasta o pane che hanno cominciato ad
invadere l'armadietto. Poi gli altri due completano le pratiche di
ingresso; paghiamo circa 130 $ e finalmente le formalita' sono finite:
possiamo scendere a terra. Saliamo sulla loro barca,passiamo a
prendere i francesi dell'altra barca ed il timoniere( il giovanotto) si
avvia verso la barriera. Ma da dove passera' dato che si vede tutto un
frangere di mare? Penso: come e' uscito cosi' entrera' e qui comincia
una sensazione di fastidio mista a curiosita' e speranza. David
sembra tranquillo al timone,procede spedito verso il muro a pelo
d'acqua. Poi, miracolosamente (per me!) imbocca la passe e invece di
andare piano, accelera perche' a suo dire cosi' non tocca. Rimango
molto perplesso su quest'affermazione; ma che vogliamo insegnare a
pregare ai santi? Ammutolito assisto ad uno slalom a folle velocita'
fra gli scogli che sfrecciano a 30 centimetri dalla barca. Poi
all'improvviso rallenta: siamo dentro, e' fatta. L'anno scorso
un'esperienza simile l'avevo vissuta alle Galapagos con Rita e Sandro.
Finalmente scendiamo a terra e qui, a parte il relitto della barca degli
americani, tutto assomiglia agli atolli delle Tuamotu e un po' anche
alle San Blas.
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La tomba di una signora ed in secondo piano quella del fondatore William Marsters |
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La chiesa di Palmerston lungo la mainstreet creata per dare sfogo ai cicloni |
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La carcassa della barca americana finita sul reef per non aver seguito il consiglio di Edward Mastersen |
Sabbia, palme, qui anche alberi di mogano introdotti da William Marsters
durante la sua colonizzazione. Andiamo verso il villaggio condotti da
David e il padre Edward che poi ci guidano in un tour del motu. Con
noi viene anche un giovane neozelandese qui probabilmente per
controllare la centrale dei pannelli solari donata dal suo paese. Il
giro turistico tocca la centrale,la scuola con un giovane insegnante
americano e moglie sudafricana:lui ovviamente insegna tutte le materie
sia ai bambini che ai giovanotti fino ai 18 anni (questa cosa e' meglio
non diffonderla che altrimenti per risparmiare sui costi dell'istruzione
la nostra ministra vara un piano di sperimentazione). Proseguendo
passiamo davanti alla chiesa protestante e al cimitero dove naturalmente
sulle lapidi e' scolpito sempre lo stesso cognome: Marsters. Ci
fermiamo davanti a quella di William, il fondatore, e quindi e'
d'obbligo immortalarla con accanto il pronipote Edward.
In mezz'ora il giro e' finito e torniamo a casa di Edward. Ci invita
a pranzo. Ovviamente accettiamo e ,sorpresa, c'e' una gran tavolata a
cui gia' siedono oltre Edward e famiglia anche i non locali:l'insegante
con la moglie, il tecnico neozelandese e la coppia di francesi della
barca a fianco. A proposito dei francesi,guarda i casi della vita, lui
(quarantenne) e' un fortissimo arrampicatore che oltre ad aver fatto le
vie piu' difficili delle dolomiti, monte Bianco e varie altre montagne
del mondo, ha vinto anche gare di arrampicata su roccia e ghiaccio.
Pesce di barriera appena pescato e riso costituiscono il menu': il tutto
offerto da Edward.
Dopo pranzo Gianni ed Enrico si fanno un bagno, io invece mi stendo su
un'amaca in riva al mare a riposare. Quando mi sveglio rimango
sdraiato a guardare i colori che dal giallo della spiaggia si
susseguono fino all'azzurro del cielo. Giallo,celeste,ocra del
reef,turchese,verde dei motu,azzurro; non e' come alle “sable rose” di
Fakarava ma qui l'assenza totale di turisti compensa ampiamente.
Poi ripenso alla realta' sociale dell'isola. Sessanta persone sperdute
su un puntino della carta geografica che con tenacia hanno creato le
condizioni per vivere. E il mitico fondatore William Marsters
perche' mai sara' venuto in un posto cosi' difficile .
Tenacia o sana follia?
Paolo
2 luglio 2016 Palmerston
COMUNISMO IN MEZZO AL PACIFICO
Ieri eravamo rimasti d'accordo con Edward che alle 10 sarebbe venuto a
prenderci e che saremmo andati a pescare con loro e con i francesi
dentro la barriera. Lui ci aveva detto che prima saremmo andati a
prendere gli uccelli. Cosa volesse dire non lo capivamo, ma ormai,
dopo due giorni a contato con questa comunita' avevamo assunto un
atteggiamento di traquilla disponibilita' a qualsiasi cosa.
Oggi puntuale arriva la barca, preleviamo i francesi e sbarchiamo a
terra. A casa sua Edward ci offre il caffe' e ci sediamo a
chiacchierare. Mi metto vicino ad Alfred, il francese scalatore per
saperne di piu'. Mi offre una sigaretta appena rollata e mi racconta la
sua attivita' alpinistica; c'e' di tutto....e dipiu' !!! Sfiorato da
una sana invidia cerco di valorizzarmi/giustificarmi raccontando il mio
alpinismo degli anni sessanta-settanta (secolo scorso!!!!) quando ancora
si arrampicava con gli scarponi rigidi e non con le scarpette di oggi.
Mentre con Alfred vaghiamo tra le montagne di tutto il mondo, Edward
posa la tazza, si alza e con voce decisa intima “ let's go, the birds”.
Tutti in piedi a seguirlo verso questi benedetti uccelli (???). La
piccola processione si avvia dentro il palmeto e sbuca sulla spiaggia
dall'altra parte del motu.
C'e' quasi tutto il villaggio intorno ad un recinto dentro cui ci sono
decine e decine di questi famosi uccelli: sono i fetoni dalla coda rossa
che, pur abbastanza grossi, essendo ancora giovani non hanno imparato a
volare.
Emily, l'ingegnera francese, ci spiega che gli abitanti li prendono due
volte l'anno ed in numero limitato in modo da mantenere un equilibrio
biologico.
Inizia il momento della distribuzione. Il fratello di Edward, un tipo
all'apparenza non prettamente atletico che sembrava con uno sguardo non
sveglio, inforca gli occhiali e apre un quaderno che piu' impataccato
non si puo'.
Ci sono scritti i nomi (non i cognomi che sarebbero tutti ugali) dei
capifamiglia che vengono chiamati uno per volta assegnandogli il numero
di uccelli da prendere.
Il nostro “ragioniere” si dimostra molto piu' abile di quanto sembra e
richiama all'ordine chi si approfitta della confusione, creata dallo
starnazzare degli uccelli e dalle grida dei bambini ecccitati dallo
spettacolo,per arraffare un pennuto in piu'.
Dopo un quarto d'ora la distribuzione e' finita; e' stato assegnato un
(non ancora) volatile per ogni abitante senza tener conto di chi li ha
catturati.
A ciascuno secondo isuoi bisogni: Comunismo in mezzo al Pacifico
Poi ogni famiglia carica su una cariola le sue future vittime. Noi
seguiamo Edward che tornato a casa, con moglie e figli, inizia a tirare
il collo ai poveretti e a spennarli, Ci invita ad aiutarlo e subito
Alfred ed Emily si fanno avanti. Noi tergiversiamo facendo foto. Poi ,
mentre Enrico e Gianni si allontanano scusandosi per la stanchezza
(!!??), io decido che l'onore di Argentina non puo' essere offuscato dal
gran rifiuto. Arraffo un poveretto e lo consegno ad Edward per
“prepararmelo”; lui lo stermina in un secondo e me lo da' ancora caldo e
vibrante. Inzio a spennare prima lentamente poi, capita la mossa,
accelero e supero Emily: l'onore e' salvo.
Il nostro soggiorno su quest'isola, bellissima sia per i colori sia per
la gente, isola capitata per puro caso sulla nostra rotta, volge al
termine.
Ci riaccompagnano in barca, li salutiamo e gli regaliamo della birra.
Alla vista delle lattine i loro occhi si illuminano d'immenso.
Enrico,colto da entusiasmo,gli annuncia un suo ritorno tra quattro anni;
io ,terrribile pragmatico, mi accontento di un meeting in paradiso.
Facciamo un ultimo bagno a ridosso della barriera dove, in acque
limpidissime, ci godiamo una gran quantita' di pesci e anche qualche
squalo.
Nel pomeriggio molleremo la boa per partire verso Niue.
Paolo
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