8 - 10 giugno PICO
Venerdì 8 giugno: dopo una lunga discussione con il comandante, la sera di
giovedì, sull’ora della partenza, (lui deciso a prendere il traghetto per
l’isola di Pico delle 7,30, l’equipaggio quello delle 10,45), finalmente
partiamo (tralasci di dire a che ora), e in 30’ siamo a Pico, sull’”isola
montagna” come la chiamano gli abitanti, perchè nata intorno a un vulcano
alto 2351 metri: è la cima più alta non solo delle Azzorre, ma di tutto il
Portogallo, che Paolo è fermamente deciso a scalare.
Tempo previsto per arrivare in cima, sette ore: 1200, i metri di
dislivello da superare.
Ad accompagnarlo saranno Massimo, Rita e Vella. Il raffreddore impedisce a
Giovanna di unirsi e Piero con Mariano resteranno a farle compagnia: si
fermeranno sul bordo del cratere di un vulcano laterale più basso, dove
c’è una piccola radura in cui fare sosta. Questo il programma stabilito a
bordo del traghetto, prima dello sbarco.
Una volta arrivati, prendiamo in affitto due macchine e via di corsa verso
la nostra prima tappa, un albergo poco lontano da Madalena, uno dei tre
paesi dell’isola.
Lasciamo i bagagli e andiamo a cercare un bar dove fare un veloce spuntino
prima di iniziare l’esplorazione di Pico. Senza volerlo finiamo in quello
che è considerato il miglior ristorante delle Azzorre, con un nome un po’
strano che si presta a facili equivoci: “Ancoradouro”.
Il comandante ne profitta per farsi immortalare in una foto, con gli
uomini dell’equipaggio, davanti alla scritta all’ingresso. In realtà, è
bene precisare che in portoghese quella parola vuol dire luogo di
ancoraggio e non altro. Il posto è veramente delizioso, così come il pesce
che mangiamo.
Venerdì 8 giugno: dopo una lunga discussione con il comandante, la sera di
giovedì, sull’ora della partenza, (lui deciso a prendere il traghetto per
l’isola di Pico delle 7,30, l’equipaggio quello delle 10,45), finalmente
partiamo (tralasci di dire a che ora), e in 30’ siamo a Pico, sull’”isola
montagna” come la chiamano gli abitanti, perchè nata intorno a un vulcano
alto 2351 metri: è la cima più alta non solo delle Azzorre, ma di tutto il
Portogallo, che Paolo è fermamente deciso a scalare.
Tempo previsto per arrivare in cima, sette ore: 1200, i metri di
dislivello da superare.
Ad accompagnarlo saranno Massimo, Rita e Vella. Il raffreddore impedisce a
Giovanna di unirsi e Piero con Mariano resteranno a farle compagnia: si
fermeranno sul bordo del cratere di un vulcano laterale più basso, dove
c’è una piccola radura in cui fare sosta. Questo il programma stabilito a
bordo del traghetto, prima dello sbarco.
Una volta arrivati, prendiamo in affitto due macchine e via di corsa verso
la nostra prima tappa, un albergo poco lontano da Madalena, uno dei tre
paesi dell’isola.
Lasciamo i bagagli e andiamo a cercare un bar dove fare un veloce spuntino
prima di iniziare l’esplorazione di Pico. Senza volerlo finiamo in quello
che è considerato il miglior ristorante delle Azzorre, con un nome un po’
strano che si presta a facili equivoci: “Ancoradouro”.
Il comandante ne profitta per farsi immortalare in una foto, con gli
uomini dell’equipaggio, davanti alla scritta all’ingresso. In realtà, è
bene precisare che in portoghese quella parola vuol dire luogo di
ancoraggio e non altro. Il posto è veramente delizioso, così come il pesce
che mangiamo.
E fantastico è anche il vino locale che beviamo: il clima secco e caldo,
unito alla ricchezza minerale dei terreni di origine vulcanica, permette
evidentemente di ottenere ottimi risultati dalla coltivazione delle vigne.
I campi sono suddivisi fra loro da piccoli muri costruiti con la pietra
lavica, in un mosaico in cui si mischiano due colori, nero e verde,
suggestivo e unico, che caratterizza il paesaggio dell’isola e che
l’Unesco ha addirittura riconosciuto come patrimonio dell’Umanità.
Doveva essere solo uno spuntino e finisce invece con un lauto pasto. Paolo
è fermamente intenzionato a tornare qui domani per cena. Ma ora è il
momento di andare a visitare quello che è considerato come uno dei più
grandi condotti lavici visitabili al mondo, la “gruta das Torres”.
Si estende per cinque chilometri nelle viscere dell’isola, ed è arredato
con vari tipi di stalattiti e stalagmiti: la guida che ci conduce
all’interno, tutti muniti di casco e torcia elettrica, non si spinge però
oltre i primi 800 metri. Sono comunque sufficienti per vivere una
esperienza che resterà nella memoria.
Risaliti in macchina puntiamo verso l’interno dell’isola, aggirando il
vulcano alla base, per raggiungere la costa orientale. Lungo il percorso
ci fermiamo ad ammirare alcuni piccoli laghi naturali in uno scenario
selvaggio dove gli unici abitanti sono mucche e cavalli.
La strada è stretta e sterrata, piena di buche e di curve a strapiombo
senza protezione, ma i due piloti se la cavano egregiamente e alla fine
riportano l’equipaggio sano e salvo sulla strada costiera asfaltata, nel
piccolo ma delizioso villaggio di Lajes, una delle basi di partenza dei
balenieri dell’isola.
Qu ci fermiamo per un breve spuntino serale, stavolta davvero spuntino,
con hamburger e birra. Massimo ordina un panino da portare a Giovanna, che
purtroppo non è venuta con noi, bloccata dal raffreddore, ma siamo tutti
sicuri che con una tapichirina domani si unirà al gruppo degli scalatori
di serie B nell’ascensione al vulcano Pico. Il comandante con il gruppo di
serie A, si danno appuntamento alle 7 per fare colazione insieme e poi
partire.
Poco dopo le nove i quattro ardimentosi sono nel rifugio alla base del
sentiero, a 1200 metri di altezza, dove si deve compilare una scheda
anagrafica e visionare un filmato sulle cose a cui occorre prestare
attenzione, prima della salita. Poi, alla modica(!?) cifra di 20 euro,
viene consegnato agli escursionisti un GPS da cui poter chiamare in caso
di necessità e che permette ai soccorritori di localizzarli in ogni tratto
del percorso. Un dettaglio buffo: se non hai intenzione di arrivare in
cima, paghi solo 15 euro…
Il sentiero comincia subito con una pendenza di tutto rispetto, che non
cambierà mai. E’ indicato con dei paletti ogni 50/70 metri. Tra l’uno e
l’altro, bisogna trovarsi il tracciato più comodo, fra le pietre aguzze o
levigate create dalle varie colate laviche.
“Durante la salita, sotto di noi un mare di nuvole bianche ha coperto la
vista dell’oceano – racconterà Vella al ritorno – mentre sopra di noi
c’era un sole che picchiava inesorabile sulle teste. Nessun albero a fare
ombra, solo cespugli radi fra le rocce nere. Sembrava di non arrivare mai.
Intanto baldi giovani in scarpette da ginnastica ci superavano
allegramente…”.
In effetti sono quasi 1100 i metri di dislivello da superare, e il
sentiero sale dritto verso la cima, sul fianco del vulcano, senza offrire
momenti di pausa.
Dopo quattro ore gli ardimentosi di Argentina raggiungono la bocca del
cratere, poco profondo e circondato da una parete verticale, su un lato
del quale si innalza un piccolo cono che naturalmente Paolo ha voluto
scalare fino in cima, per raggiungere quota 2351 metri.
![]() |
Faial dall'alto del vulcano Pico |
![]() |
La cima di Pico con vigneti in primo piano |
Nel ritorno, durato tre ore, la fatica è stata ripagata da squarci fra le
nubi sottostanti, che hanno consentito finalmente di vedere l’isola di
Faial, situata di fronte al vulcano e lontana 8 km, in tutta la sua
lunghezza.
“Uno spettacolo molto bello”, è stato il commento dei quattro appena
arrivati al rifugio, dove Mariano, Piero e Giovanna li aspettavano, dopo
aver raggiunto il cratere laterale, da cui parte un tunnel che arriva fino
alla base del vulcano, ma che è chiuso ai visitatori.
La sera, dopo una salutare doccia, tutti a cena da “Ancoradouro”, il
ristorante preferito da Paolo.
La mattina di domenica, dopo un profondo sonno ristoratore, ci spostiamo
in macchina sulla costa occidentale, contraddistinta da abitazioni tutte
di colore nero, perché costruite con la pietra lavica. Alle case si
alternano fiumi di lava solidificata, provocati dalle varie eruzioni del
vulcano (l’ultima nel ‘700), che sono scesi fino al mare aumentando la
superficie dell’isola.
![]() |
Case nere fatte di pietra lavica |
Gli appassionati di geoturismo troveranno vari luoghi interessanti da
visitare ma ce n’è uno in particolare che colpisce per la sua bellezza:
gli “arcos do Cachorro”. E’ una impressionante formazione rocciosa, sempre
di origine vulcanica, sulla costa, perforata da numerose grotte e
cunicoli, dove l’acqua del mare si insinua. Quando le onde sono impetuose,
è uno spettacolo vedere gli spruzzi provocati dalla pressione dell’acqua.
Alle ore 14 dobbiamo riconsegnare le macchine in affitto e alle 15 ci
aspetta il traghetto per tornare a Horta, l’isola azzurra, il regno delle
ortesie, ma facciamo in tempo a visitare il museo dell’industria
baleniera, a Sào Roque, il terzo centro abitato dell’isola di Pico: è
ospitato nella vecchia fabbrica dove un tempo venivano macellati i cetacei
catturati da ardimentosi marinai a bordo di lunghe e strette barche,
armati di fiocina.
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Vella al chiosco del convento di San Pedro a Sao Roque |
Nel museo sono esposti i macchinari usati per la lavorazione: grossi
bollitori, essicatoi e caldaie a vapore. L’olio era il prodotto
principale, esportato in Europa e utilizzato per produrre lubrificanti,
profumi e farmaci. Le ossa trasformate in farina, servivano come
fertilizzante.
Un salto al convento e alla chiesa annessa di sao Pedro de Acantara per
onorare la domenica, e poi di corsa al porto di Madalena, al traghetto. Si
torna a casa, su Argentina. Bisogna prepararsi a salpare. Domani ci
spostiamo su un’altra isola.
Piero
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I laghi di Pico |
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