Lunedì 22 di buon ora abbiamo dato fondo nella baia di
Port Vila. Un gentile ragazzo australiano ci ha accompagnato col suo
potentissimo tender provvisto di motore fuoribordo che non si spegne mai fino
all'Ufficio di Dogana dove si è materializzato Simon il doganiere ormai nostro
intimo virtuale amico col quale ci eravamo scambiati una miriade di lettere di
smentita varie ed astruse. Espletata la Dogana si è effettuata la Quarantena,
così chiamata perché dura una quarantina di minuti, e che consiste nel pagare
una tassa esclusivamente in moneta locale che ovviamente nessuno di noi aveva
ragion per cui dovremmo tornare dopo essere stati in banca. Ci rassegniamo a
passare qui a Port Vila molti giorni
poiché si prevede per tutta la settimana un fortissimo vento anomalo da Ovest.
Smentiti dai meteorologi che ci conducono per mano da Roma si è scoperto che
avevamo sbagliato il collegamento internet connettendoci col sito di propaganda
delle cerate.
Martedì 23 abbiamo affittato una macchina per fare il
giro dell'isola sull'unica strada percorribile dopo essere passati a saldare la
quarantena. Qui, nei pressi degli Uffici Doganali, abbiamo visto rievocare
un'antica tecnica di pesca ben descritta nel diario di
Forster: un certo numero di piroghe inseguono il branco dei
pesci e lo dirigono all'interno della baia dove altre piroghe disposte ad
imbuto richiudono le reti dietro i malcapitati. Le uniche varianti moderne
consistono nel fatto che le piroghe sono ora sostituite da pulmini, i pesci
sono sostituiti da turisti scesi da una grande nave da crociera e le reti da
una rete di bancarelle mobili che vendono un'infinità di paccottiglie made in
China. Il giro dell'isola ha offerto molti panorami incantevoli sulle acque sia
salate che dolci. Irripetibile è la risalita del fiume Mele per una serie di
cascatelle in cui ci si fradicia completamente fino ad arrivare ad una grande
cascata in mezzo ad una fitta giungla.
Mercoledì 24 si è visitata la grande metropoli di Port
Vila capitale della Repubblica Vanuatu, iniziando dall'interessante Museo. In
esso si possono ammirare diversi oggetti a testimonianza della cultura
indigena.
Un modellino dell'alta torre da cui si gettò la bella
Tamale succube di un marito autoritario e violento, essa salì fin sulla cima
inseguita dal suo despota che la voleva trattenere a sé, nella lotta concitata
che ne seguì caddero entrambi ed egli si sfracellò al suolo mentre lei si fermò
a pochi centimetri da esso trattenuta dalla liana che si era legata al piede.
Da allora anche gli uomini hanno capito l'antifona e questo è divenuto lo sport
preferito praticato dai giovani dell'isola di Pentecoste anche se non funziona
più nei confronti delle rispettive mogli, ma funziona con i turisti. Nel museo
sono esposte molte antiche monete locali che vanno dalle usuali conchiglie, che
subirono un'inflazione paragonabile a quella della Repubblica di Weimar, alla
più solida “stone standard” costituita da una ciambella in pietra dal peso di
circa un giovane maialino, per finire alla moneta stuoia in fibre vegetali intessute
a formare complicati disegni anticontraffazione della superficie di circa un
giaciglioquadro che poteva essere agevolmente ripiegata e riposta nell'astuccio
penico durante lo shopping. Sempre nel museo è conservato il glorioso vessillo
giallino del Condomio Pandemonium delle Nuove Ebridi su cui sono raffigurati
l'Union Jack ed il Tricolore di Marianna insieme con la Croce di Lorena, che
non si sa che cosa ci azzecchi. La collezione più interessante del museo è
costituita da preziosi reperti di ceramica, residuo dell'antica millenaria
civiltà Lapita. Anche se nessuno degli storici e degli archeologi lo ritiene
corretto, è ovvio che il nome Lapita derivi per corruzione da Laputa, l'isola
volante scoperta da Gulliver nella sua terza impresa. Nell'isola volante
risiedeva il Governo che poteva così ispezionare l'intero continente della
Terra Australis. Era questa una civiltà che aveva raggiunto eccelsi livelli di
conoscenza. Ogni scienziato della sua Accademia si accompagnava sempre con un
servitore munito di un buffetto con il quale percuoteva la sua guancia nel caso
in cui il grande luminare, assorto nei suoi elevati pensieri, stesse per cadere
in un pozzo. Si effettuavano studi del massimo interesse come ad esempio quello
per invertire il ciclo nutrizionale facendo ingerire escrementi umani dal fondo
schiena all'assistente, lieto della sua immensa utilità per il progresso, nel
tentativo di vederli poi vomitati sotto forma di cibi freschi e fragranti.
Nulla è rimasto di tale Accademia, ma si sospetta che alcune delle più
prestigiose menti si siano infiltrate presso i nostri Atenei, sembra ad esempio
che sia frutto della ricerca Laputa l'affinamento dei metodi Montecarlo per
disporre in maniera urbanisticamente corretta strade, edifici e buche nelle
periferie delle grandi metropoli. Nel variopinto mercato di Port Vila intere
famigliole, lattanti compresi, vendono e riparano di tutto, dai frutti esotici
alle magliette policrome, al servizio elegante da pranzo in foglie di banano,
all'igname confezionato in borse di palma intrecciata, mentre nei banchi a
fianco si mangiano varie poltiglie indefinibili. Al supermercato invece si
diletta negli acquisti una raffinata clientela in buona parte bianca tra cui il
parroco di Lotoror, nell'isola d'Espiritu Santo, che sta per andare in vacanza
a Reggio Emilia, ma non importa, o con lui o senza di lui, noi Lotoror non la
possiamo perdere. Nel negozio di artigianato locale il venditore originario
della vulcanica Ambrym ci decanta le magnificenze della sua Patria, della sua gente,
del suo capo villaggio di cui si accinge a vestire le penne trai capelli ed il
bastone da maresciallo da cui sgorga un cespuglio di peli ed in tal guisa
simula un discorso ad un'enorme platea. Poi illustrandoci le mirabilia di una
serie di tamtam antropomorfi comincia a percuoterli delicatamente, pare che
sussurrino “aux armes citoyens, formez vôs battallions” e così fino a “qu'un
sang impure abrève nôs sillons”, sembra questo l'ultimo ricordo della
dominazione francese.
Dalla visita superficiale di questi tre giorni alla
capitale delle Vanuatu sembra di poter concludere quanto segue. A differenza di
quanto avviene in Polinesia qui i
residenti occidentali sono praticamente inesistenti; quel che vi è di
occidentale deriva più dalla globalizzazione imperante che dal Condominio Anglo
Francese: gli inglesi hanno lasciato la lingua e poco altro, nonostante le
lingue officiali siano tre, inglese, francese e lingua locale, il francese
pochi lo parlano. La Francia, a differenza del Regno Unito, ha lasciato qualche
segno tangibile di civiltà, i supermercati e soprattutto la scuola, che qui è
sempre indicata anche dai segnali
stradali come “école maternelle”, “école primaire” etc., poi gli ospedali di
cui, per nostra fortuna, non abbiamo
avuto bisogno, ma ci basiamo sulla testimonianza di “Refola” che ci ha
preceduto. Nel futuribile edificio del Parlamento non compare nessuna scritta,
nessun recinto, nessuna guardia, neanche un usciere, solo famigliole con
bambini che giocano. Poco più in là un edificio ben protetto da una alta
inferriata con cancelli automatici, videocamere di sorveglianza e la scritta
“Australian Council”, deve essere questo il vero governo dell'arcipelago.
Sandro
Nessun commento:
Posta un commento