Ieri, mentre sbirciavo sul pc per vedere il momento esatto in cui avremmo
passato l’equatore, mi sono accorto che proseguendo la nostra rotta
(invece di seguire le indicazioni di Bob che ci avrebbero fatto deviare
per nord ovest) saremmo passati vicino a dei minuscoli scogli in mezzo
all’oceano dal nome per me molto evocativo: Penedos de Sao Pedro e Sao
Paulo.
Non ne sapevo assolutamente niente neppure della loro esistenza, credevo
che Sant’Elena o Palmerstone fossero il massimo dell’isolamento e invece
no c’è sempre qualcosa che supera il precedente.
Abbiamo scritto a Renato e al fratello di Stefano (esperto diver sub) per
chiedere informazioni. Eccole riassunte.
Quattro sassi che spuntano dal mare per un’altezza massima di 17 metri,
meno di un palazzo di cinque piani. L’isoletta più grande misura 80 m per
40.
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Le isolette di Sao Pedro e Sao Paulo sperdute nell'Oceano Atlantico |
In realtà si tratta di un affioramento dal fondo dell’oceano della faglia
tra l’Africa e l’America.
Le isolette furono scoperte casualmente il 20 aprile 1511 da una flotta
portoghese di sei caravelle in viaggio per l'India; durante la navigazione
in mare aperto di notte, la caravella São Pedro si schiantò sugli scogli.
I naufraghi furono salvati dalla caravella São Paulo e questo episodio
diede il nome all'arcipelago.
Gli scogli apparvero per la prima volta in una carta del 1513 e in
seguito, nel 1529, nella mappa mondiale del cartografo portoghese al
servizio della corona spagnola Diego Ribero.
Le isole vennero visitate da Charles Darwin nella prima parte del suo
viaggio intorno al mondo sulla nave Beagle.
Nel 1930 la nave Belmonte della Marina del Brasile approdò sull'isole e fu
eretto un faro sull'isoletta Belmonte, in parte distrutto da un terremoto
nel 1933; il faro esistente è stato eretto nel 1995.
Nel 1998 la marina brasiliana ha inaugurato la Stazione Scientifica
dell'Arcipelago di San Pietro e San Paolo e il Brasile occupa
l'arcipelago in modo permanente.
Dal punto di vista sub pare che sia il paradiso di grossi pesci pelagici
inclusi squali che si fermano li lungo la rotta migratoria.
Queste le notizie che ovviamente mi hanno ancor di più incuriosito e,
spronando l’equipaggio in cui aleggiava qualche incertezza o scetticismo,
ho diretto la prua su quel punto perso nel nulla.
Compaiono i quattro sassi ed accanto un grosso peschereccio attaccato
all’unica boa segnata sulla carta.
Ci avviciniamo e loro ci chiamano via radio in portoghese. Comprensione
zero.
Interviene Michele che in spagnolo riesce a capire che possiamo legarci a
loro con una cima. Detto, fatto.
In cinque minuti la manovra è terminata, siamo fermi ma non nel senso del
rollio che è molto intenso visto che le isolette sono talmente piccole da
non offrire nessun ridosso dalle onde dell’oceano.
Dal peschereccio parte un grosso gommone, si accosta e a gesti capiamo che
ci porterebbe a terra.
Ovviamente accettiamo e lui a tutto gas si infila in una baietta formata
tra le quattro isolette.
Una scaletta strapiombante ci consente di mettere finalmente piede a
terra.
Siamo sull’Ilhota São Paulo, dove c’è tutto il mondo. Il faro, la
stazione radio, e una casetta che serve da abitazione/rifugio/laboratorio
per uno sparuto gruppo di giovani ricercatori.
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Il rifugio/laboratorio |
Sei persone, tutte giovani (compresa una bella ricercatrice) rimangono in
questo nulla per una quindicina di giorni a monitorare la fauna marina.
Poi il grosso peschereccio fa la spola con Recife e porta viveri ed un
nuovo gruppo.
Ci accolgono calorosamente con un bicchiere di chascazza (il rhum
brasiliano) e finalmente in inglese ci raccontano le loro esperienze;
sembrano contenti ed orgogliosi del loro lavoro.
Gentilissimi ci offrono la possibilità di un collegamento e Stefano,
l’unico che ricorda a memoria il numero, riesce a mandare un saluto a
Cristina: quando mai avrà ricevuto una telefonata dal nulla!
Mi accompagnano in cima alla vetta di 17 m per scortarmi e proteggermi dal
becco delle sule.
Questi uccelli sono dapertutto (tanto che il colore delle rocce non è più
grigio ma bianco delle loro cacche) e difendono con tenacia il loro spazio
vitale.
In cima le foto ritraggono il minuscolo arcipelago sullo sfondo di
Argentina attaccata al peschereccio.
Salutiamo,ringraziamo e ripartiamo col gommone che, invece di riportarci
in barca, si ferma sul peschereccio dove il capitano ci ha preparato il
pranzo. Bistecche di carne e di pesce alte 3 centimetri: un vero
banchetto a cui intanto arrivano anche i giovani ricercatori.
Stefano, da vero signore, si sacrifica per andare in barca a prendere vino
e birra.
Insomma una giornata speciale che i ricercatori ci invitano a
prolungare,addirittura fino a domani, dato che oggi è domenica e quindi,
come recitano i dieci comandamenti, non si deve lavorare o navigare.
Ma l’idea di passare una notte attaccati al peschereccio con un rollio
insopportabile mi convince a declinare l’invito.
Di nuovo un saluto ed un ringraziamento e stringendomi la mano, il
capitano con la sinistra mi regala un tonno da 10 chili.
Ci sciogliamo dal peschereccio e ci avviamo verso le piogge e le calme
equatoriali che ci accompagneranno almeno per uno-due giorni.
Paolo
Bellissimo racconto , bellissima esperienza. Sono capitata qua per caso cercando informazioni su questo "arcipelago" a seguito della sua menzione nel libro "Gli eredi di Atlantide". Pare che =un certo Charles Hapgood dopo 10 anni degli studi su antiche mappe sia giunto alla conclusione che queste due isolette (rocce) potrebbero essere cos'è rimasto dalla antica Atlantide! :)
RispondiEliminain realtà queste sono le prime isole affiorate 4,6 mliardi di anni fa, nascita della crosta terrestre
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