14/09/2015: Moorea
Dopo quasi 40 ore di traversata, nella quale si vedevano solo onde alte, in mezzo alle quali Argentina ben si destreggiava, risalendole lentamente o velocemente sprofondandoci, ma con una certa qual apprensione degli ospiti sottoscritti, e difficoltà in ogni genere di attività, al fine ho visto la Terra! Mi sono alzato nella notte fra l'11 e il 12, quando eravamo al largo di Tahiti e ho visto sfilare le sue luci a Sud, alla nostra sinistra. Posso confessare che la cosa mi ha fatto molto piacere, anche perché finalmente il mare s'era placato. Al largo di Tahiti abbiamo incrociato una nave, che filava anch'essa alla nostra sinistra: vedi le sue luci ma per un bel po' non capisci quanto è grande e soprattutto dove sta andando. Si è come due viandanti che forse si vedono; noi li vediamo, ma loro vedono noi?
Difatti per aumentare la nostra visibilità, quando ancora non era chiaro dove andavano, abbiamo la bianca vela con la pila (ma loro erano comunque fuori dalla nostra rotta). Abbiamo poi proseguito e approcciato, con la dovuta cautela, l'ingresso alla baia di Cook, una delle due belle baie a Nord di Moorea. Una confusione di luci bianche rosse e verdi, nelle quali da lontano non ci si riesce ad orientare; solo avvicinandosi, piano piano si prende la giusta prospettiva e così diamo fondo credo alle 3 di notte, dopo di che vado a nanna.
Ci svegliamo la mattina in un altro mondo: acque tranquille e sole. Le Tuamotu erano solo smilze strisce di terra, i Motu, che racchiudono lagune vaste ben più del nostro Garda, tanto che se sei in mezzo non vedi nulla all'orizzonte. Moorea come Tahiti e' invece un'isola con ardite montagne la cui forma ricorda le nostre grandi pale dolomitiche, con pareti verticali di notevole altezza: queste sono pero' ricoperte di una fitta vegetazione che posso solo definire lussureggiante. Qui fa caldo, piove spesso, e questo e' il risultato. Tutto intorno all'isola corre una barriera corallina, con alcune aperture che permettono il passaggio delle barche, le famose Passe. Ammiro queste pareti e le loro ardite creste, e gli spigoli che eccitano la fantasia di chi scala, subito smorzata da questa foresta che copre i muri verticali. Dopo i disagi della traversata questa Baia di Cook ci sembra un paradiso. Per chi arriva usando il Gps e tutte le altre diavolerie moderne, e' difficile immaginare l'esperienza di chi arrivò per primo dall'Europa, che in verità non fu Cook (giunto qui nel 1769) ma, pare, tale Samuel Wallis due anni prima, poi seguito da Jean Antoine de Bougainville (quello delle piante). Chissà che emozione avranno provato a vedere Moorea, e che difficoltà senza Gps! E per Internet come avranno fatto? Per finire qualche altro angoscioso dubbio: per quale ragione il nodo che gli alpinisti chiamano nodo barcaiolo (esiste anche il nodo detto mezzo barcaiolo) qui in barca si chiama invece nodo parlato? Già è tanto che non lo chiamino nodo dello scalatore! Aggiungasi che il nodo che noi chiamiamo bulino (con il quale ci si legava per arrampicare fino agli anni '60), costoro lo chiamano gassa? E perché poi la gassa sarebbe d'amante? Come disse quel tale "Ai prosperi l'ardua sentenza!"
Ora vado in branda, mentre intorno alla barca credo stia impazzando quella ininterrotta catena di eventi che alcuni pesci chiamano cena e altri morte. In effetti e' strano come, quando di giorno nuotiamo con maschera e pinne, sott'acqua par di vedere un società pacifica ed amichevole. Quando pero' viene la notte, l'acqua risuona di continuo di rumori di pesci che guizzano sul pelo e poi tornano sotto. Qualcuno si nutre, qualcun altro lo nutre.
Salvatore
Salvatore, sono Gianni Cutolo, leggere i tuoi report è molto bello... complimenti!...un saluto al fratello (che pure, ho scoperto, scrive bene anch'egli).
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