02/09/2015 NOTTE POLINESIANA
Non ricordo esattamente dove si era, se a Rangiroa o ad Apataki, ancorati abbastanza bene ma con un bel po' di onda e sopratutto tanto vento. La musica non era di quelle "facili", come una qualsiasi sinfonia beethoveniana. Questa era roba dodecafonica, roba per palati esperti ed esigenti. Cercare una qualsiasi melodia di fondo era inutile, non c'era. C'era invece, questo sì il suono; se preferite, il rumore. Il ritmo, con un basso di fondo, lo davano le scotte rotolanti, or di qua, or di là. I toni acuti li davano le vibranti drizze metalliche, accompagnate dalle sartie volanti, che essendo volgari corde (qui le chiamano cime) avevano un suono più ordinario, quasi volgaruccio. Il rollare dei tamburi era fornito dallo scafo tutto, che ogni tanto si alzava su se stesso e poi ricadeva, con un bel tonfo. Le draglie, quelle ringhierine che stanno sul bordo della barca, salmodiavano come tanti violini lontani. I paterazzi invece, quelli davano solo una vibrazione, afona ma continua. Sul tutto, come in certa musica dodecafonica, spiccava la prorompente personalità del compositore, il vento. Il nostro Beethoven, o Nono che dir si voglia, è il dominante vento da Est, uno dei mitici "Trade winds", che con il loro regime costante hanno alimentato il commercio oceanico, in tal modo fornendo le indispensabili basi della colonizzazione delle Americhe e di parte dell'Oriente. Il colonialismo, la rivoluzione industriale europea, lo schiavismo, senza Trade Winds forse ci sarebbero ugualmente stati, ma certamente con diverse manifestazioni e svolgimento storico. Lo spettatore ordinario davanti a tanta musica d'avanguardia esce sul pozzetto, per controllare se la barca è in pericolo, ma vedere che le porte delle cabine dei duumviri sono tranquillamente chiuse gli dà un senso di tranquillità; e torna a cercare di dormire, ma il concerto si replica fino al suo stordimento.
Salvatore
Gioie e dolori della vela!
RispondiEliminaRenato